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Come cambia la cooperazione e come ti cambia

Come cambia la cooperazione internazionale ai tempi del Covid? Vedi tanti cambiamenti e vuoi farti un’idea sul futuro della cooperazione? Ti chiedi com’è la vita da cooperante? 

Nell’articolo di oggi, insieme a  Diego Battistessa, cooperante, latinoamericanista, ricercatore, attivista per i diritti umani, proveremo a ragionare su come sta cambiando la cooperazione internazionale. Parleremo delle opportunità lavorative nei prossimi anni in Europa e delle difficoltà della vita da cooperante.

Buona lettura!

Le conseguenze del Covid (restrizioni, blocco viaggi internazionali, distanziamento fisico) cambieranno la cooperazione?

Il COVID-19 ha causato nella cooperazione un’accelerazione molto importante della trasformazione digitale, che era già in atto da anni (come in altri settori). Ha anche riportato alla ribalta la questione del ruolo degli expat nei progetti. Entrambe sono due grandi sfide che abbiamo davanti a noi.

È dal 2010 che la cooperazione attraversa un momento di ripensamento di certi paradigmi. Si chiede quanto sia necessario mandare una persona del nord politico del mondo nel sud politico del mondo, per portare avanti un certo tipo di progetto.

Non tanto nell’intervento umanitario, perché si tratta di operazioni molto brevi, dedicate a risolvere problemi basici e urgenti. Inoltre dopo le primissime fasi di Rescue e di Relief, nella fase di Recovery già lavorano attori locali. Questi infatti, hanno una conoscenza profonda delle dinamiche del territorio, insieme agli operatori dell’emergenza e dello sviluppo.

Si tratta in altre parole di un lavoro congiunto e coerente tra emergenza e sviluppo. Grazie a quello che viene chiamato “Nexus Point”, si risponde in maniera più efficace ai bisogni delle persone. Soprattutto si riescono a diminuire le loro vulnerabilità, prima, dopo e durante una crisi.

Quindi, da un lato l’intervento umanitario può ancora fare leva su un certo numero di expat, che vengono inviati in coordinamento alle operazioni sul terreno, per rispondere a una emergenza. Ma nella cooperazione allo sviluppo l’invio di operatori e operatrici è sempre più messo in dubbio.

“Ricordiamo che la buona cooperazione allo sviluppo è quella che mette fine a se stessa, e il buon progetto è quello che riesce a fare in modo che non ci sia più bisogno del progetto stesso, con le comunità locali che da sole rendono quei processi, quei meccanismi promossi dal progetto, sostenibili nel tempo”

Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma ci stiamo lavorando. Questo non vuol dire che verrà annullata la mobilità internazionale degli expat, ma che verrà limitata nel tempo, nello spazio e nelle azioni .

A causa del Covid non si rischia la diffusione dell’idea di sacrificare la cooperazione internazionale per ricostruire le economie nazionali in Europa?

Ci sarà sempre più bisogno di una cooperazione centrata nei paesi del nord politico del mondo, in partnership con gli enti nel sud politico del mondo. La cooperazione internazionale non smetterà di essere internazionale. Continuerà a essere diretta dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dai 17 Sustainable Goals.

La cooperazione, però, dovrà prendere in considerazione le sfide interne, dei contesti nazionali dei Paesi del nord politico del mondo. L’Italia avrà bisogno di conoscenze e capacità di chi per tanti anni ha lavorato all’estero. Tante operatrici e tanti operatori potranno mettersi ora al servizio di progetti che verranno realizzati in Italia. 

Non dimentichiamoci che, oggi, il più grande donor a livello internazionale per la cooperazione allo sviluppo è l’Unione Europea. Oltretutto la UE destina molti fondi allo sviluppo locale. Molte realtà in Italia riescono a captare fondi per implementare progetti che, fino a qualche anno fa, vedevamo solo in Paesi in via di sviluppo.

Siamo di fronte a diverse trasformazioni. C’è un terzo settore, nel quale includo la cooperazione internazionale, che avrà nuove sfide in Italia. Però potrà attingere dall’esperienza pluriennale di tante organizzazioni, che hanno lavorato in contesti internazionali complessi. 

Ci sarà, sempre di più, un lavoro collegato tra lo sviluppo e l’umanitario. Tuttavia, si vedrà sempre meno una mobilità di expat dal nord politico del mondo verso il sud politico del mondo. 

Nel tuo libro parli della difficoltà del/della cooperante che si trova all’estero di comunicare la realtà che sta vivendo a chi è in Italia, a partire dai suoi affetti. Come si può aprire qualche canale di comunicazione?

Quello che citi è un capitolo a cui tengo molto,  perché, probabilmente, prima che lo scrivessi nel libro –“Vorrei fare il cooperante. Come trasformare un sogno in una professione”– , non se n’era mai parlato pubblicamente, nonostante sia qualcosa che tutti i cooperanti e le cooperanti conoscono. 

Si crea un vero e proprio scollamento spazio-temporale, tra le persone a casa, e chi sta lavorando in un altro Paese. Ma lo stesso avviene in Italia. Ci sono persone che lavorano su certe criticità sociali e chi, muovendosi dentro un sistema che minimizza questi problemi, non ne è cosciente. Prendiamo le ondate di freddo che ci sono in Italia e in Spagna. Ora ci accorgiamo tutto d’un tratto che ci sono centinaia di homeless per le strade, però sono sempre stati lì.

Nel libro faccio riferimento al film Matrix. Morpheus mette di fronte a Neo due pastiglie, gli dà una scelta. Se mangi la pastiglia blu, ti sveglierai domattina a casa, non ricorderai niente e tutto continuerà come prima. Se mangi la pastiglia rossa entri dentro Matrix, vedi Matrix e niente sarà più come prima. 

Quello che dico alle persone che si affacciano alla cooperazione internazionale è: “state attenti perché state entrando dentro Matrix, una volta fatto non si torna più indietro!”. 

Magari un’amica o un amico vi racconterà felice che, dopo aver lavorato tanto, si è comprato non so, una giacca da 300 €. A voi sembrerà che vi parli dalla Luna. Perché dopo aver visto certe situazioni, tante cose non hanno più lo stesso valore che potevate dargli prima.

Io in questi giorni sono a Bogotà. Sto lavorando ad un progetto che riguarda le donne venezuelane migranti, in situazione di prostituzione. Vi racconto un episodio. Ho passato un giorno intero nel quartiere di tolleranza, ho visto tante bambine venezuelane. Ho parlato a lungo direttamente con una ragazza venezuelana che è in situazione di prostituzione. A fine giornata un collega mi ha chiesto :” com’è andata ieri? Cosa hai fatto?”. La mia risposta di getto è stata: “sono entrato nelle viscere della bestia”. 

Quando tu fai questo, hai questo tipo di esperienza, poi diventa tutto diverso. Le parole stesse assumono un peso diverso. Da anni ormai, da quando ho lavorato nei bordelli di Sucumbíos in Ecuador, per me la parola ‘prostituta’ ha assunto un significato completamente diverso. 

È difficile, molto difficile, raccontare questo a qualcuno che non lo vive, che non ha sentito quei pugni nello stomaco… Questo vale per amici, compagni e compagne di vita, familiari e genitori, che non capiscono quello che fai e perché lo fai. Non capiscono perché sei disposta, o disposto, a fare tutta una serie di sacrifici per un sorriso, per una stretta di mano. Per sapere che sei riuscita o riuscito, a cambiare anche in piccola parte, la vita di qualcuno. Sei riuscito a riequilibrare un pò la bilancia della giustizia sociale.

Non c’è una ricetta, un rimedio universale, rispetto a questo. Ognuno, ognuna di noi vive la sua situazione personale in modo diverso. È importante prendere in considerazione questo aspetto. Ma anche considerare che ci avviciniamo a un lavoro impermanente, o flessibile o precario, a seconda di come lo vogliamo vedere. 

Un lavoro che purtroppo, come molti altri lavori in Italia, pregiudica ancora molto di più le donne rispetto agli uomini. Perché è un lavoro dove i contratti sono a progetto, dove non c’è la maternità, soprattutto per quanto riguarda le missioni all’estero. In breve ci sono ancora una serie di gap molto importanti, da prendere in considerazione. 

Un lavoro che, spesso, ti impedisce di essere te stesso, te stessa, quando sei in zone, in contesti culturali diversi. Ci sono Paesi dove non puoi vivere liberamente una relazione omosessuale. Aree dove non puoi vivere liberamente una relazione eterosessuale fuori dal matrimonio. Ci sono Paesi dove non puoi adottare comportamenti che, per noi, sono assimilati come normali e che riguardano i nostri diritti e le libertà civili.

“È una continua negoziazione con sé stessi e con le persone che ci circondano. Però sono felice di riuscire a ‘vedere Matrix’ e di essere parte di quel gruppo, – a me piace chiamarla tribù- di persone che, anche se non si conoscono, sono legate, che anche se non si sono mai viste, si sentono in fratellanza, che anche se non hanno mai lavorato insieme, si sentono colleghi e colleghe, che continuano a vedere il mondo  in modo diverso, e che lavorano tutti i giorni per un altro mondo possibile”

Consiglio di tenere in considerazione questo aspetto, lavorarci fin da subito. Capire che, ad un certo punto della nostra vita, probabilmente intorno ai 35 anni, si ragionerà su cose come: voglio tornare a lavorare in sede/voglio trovare un lavoro più stabile/ non ho più voglia di fare colazione mentre ascolto le bombe che cadono a 5 km/ devo prendermi cura dei miei genitori/ ho una situazione familiare particolare… Ci saranno delle scelte importanti da fare e bisogna considerarlo.

Quello della dimensione personale, è uno degli aspetti che meno viene considerato, ma è importante. Se non stiamo bene, se non siamo integri dal punto di vista personale, non possiamo lavorare bene. E se è così non possiamo essere professionali,  non possiamo essere di nessun aiuto a nessuno. 

In questo lavoro siamo sottoposti a quello che viene chiamato burnout. Si tratta di un esaurimento psicofisico professionale, che atten, non ci diminuisce né come persone né come professionisti e professioniste, ma è qualcosa che può succedere in qualsiasi momento della vita e della carriera. 

Si tratta di un momento, nel quale dobbiamo essere capaci di chiedere aiuto, e che dipende molto dallo stress psicologico, che soffriamo per la distanza rispetto ai nostri cari e alle persone che rendono la nostra vita ricca e degna di essere vissuta. 

È importante capire fin dove puoi arrivare, che non siamo noi che salviamo il mondo, è  importante capire professionalmente cosa stiamo facendo e come lo dobbiamo fare.

“La sfera personale del cooperante, della cooperante è sicuramente messa sotto pressione durante tutta la carriera. Se uno mi dovesse chiedere oggi: – lo rifaresti? Assolutamente! Sento di essere la persona che sono grazie al fatto che la cooperazione mi ha sfidato ogni giorno degli ultimi 10 anni a diventare una migliore versione di me stesso” 

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