mano robotica con scritta AI

Intelligenza Artificiale per il No profit

Può l’intelligenza artificiale essere utile al no profit? Come i professionisti del settore possono integrare l’IA nel loro lavoro? Che rischi e opportunità si presentano alle organizzazioni? Ne parliamo con Rebecca Barbanti, AI & Digital consultant, responsabile del programma SAI – Social Artificial Intelligence, promosso dalla Social Change School.

Perchè la Social Change School si interessa all’Intelligenza Artificiale?

Portare innovazione nel terzo settore è sempre stato nel DNA della Social Change School, che è nata nel 1997 con l’obiettivo di far crescere le competenze manageriali nel terzo settore, in un momento in cui sembrava che la managerialità fosse un tema esclusivo del for profit. L’innovazione è proseguita nel 1999 con l’introduzione dell’e-learning e nel 2010 con l’introduzione in Italia del concetto di social innovation

Possiamo dire che l’Innovazione è un elemento peculiare della della Social Change School fin dall’inizio. Perché adesso l’Intelligenza Artificiale? 

Da quando a novembre 2022 è stato rilasciato ChatGPT l’Intelligenza Artificiale di tipo generativo ha fatto irruzione non solo nel mercato, ma anche nelle vite di tutti. Da quel momento tutti abbiamo potuto “toccare con mano” l’IA ed è iniziato in tutti gli ambiti, un enorme sforzo per capire come questa tecnologia può trasformare il nostro lavoro

Si stima che entro il 2026 l’80% delle aziende utilizzerà modelli di Intelligenza Artificiale generativa, per applicazioni usate dagli utenti, mentre nel 2023 erano solo il 5% del totale. L’IA avrà un forte impatto su tutti i tipi di organizzazioni. 

Anche il terzo settore è coinvolto ed è necessario avere un’idea sistemica di come questi strumenti potranno influenzare il lavoro dei suoi professionisti e le strategie delle sue organizzazioni.

La Social Change School ritiene che il  terzo settore non possa rimanere indietro, è inevitabile il cambiamento, ed è bene che il no profit lo viva come attore di primo piano e non come recettore passivo.

Cosa può offrire l’IA alle organizzazioni no profit e ai professionisti della cooperazione?

Dal lato dei singoli lavoratori del settore, l’utilizzo di queste tecnologie può aiutare ad ottimizzare certi task, rendendole meno time consuming, durante tutte le fasi del ciclo di progetto. I cosiddetti foundation models o modelli fondativi, come ChatGPT o Gemini, sono infatti strumenti che possono affrontare un ampissimo range di task, e quindi possono essere sfruttati per fare tantissimi compiti specifici.

Enormi potenzialità già visibili nel settore profit sono legate alla comunicazione e sono molto interessanti per il fundraising: dalla produzione di contenuti per i social media, alla SEO, quindi il posizionamento di pagine web sui motori di ricerca, dal supporto alle newsletter fino alle campagne di comunicazione.

Per fare tutto ciò serve però sviluppare nuove competenze anche a livello delle organizzazioni.

L’idea della SCS è portare la consapevolezza dello sviluppo di questo tema nel non profit italiano con un approccio sistemico. Ovvero da un lato creare una conoscenza comune di base, attraverso la formazione e dall’altro incentivare lo scambio di buone pratiche e l’implementazione di strategie, partendo da una riflessione condivisa. 

Per il primo aspetto, a partire dagli inizi del 2023, stiamo introducendo  nei master della Social Change School, l’IA come strumento che può essere funzionale alla figura del project manager del terzo settore. Per il secondo aspetto stiamo lavorando soprattutto come Crescenzi&Partners, una società di consulenza, strettamente legata alla Social Change, che è più orientata a lavorare con le principali organizzazioni del terzo settore italiano. 

Il programma SAI – Social Artificial Intelligence, per i direttivi delle organizzazioni, è in corso con le prime sessioni di formazione e poi verrà esteso. 

Abbiamo deciso di cominciare dai direttori generali perché, non solo come tutti gli altri lavoratori, possono trarre giovamento dall’utilizzo di questi strumenti nei loro task quotidiani, ma anche perché essendo i policymakers, possono dettare le strategie e le linee guida dell’organizzazione nei confronti dell’uso dell’Intelligenza Artificiale.

Nel contesto del programma SAI si lavora all’interno di una rete, facendo formazione in piccoli gruppi e promuovendo uno scambio, per favorire policy sull’adozione di questi strumenti avvenga non in maniera frammentaria, ma in maniera consapevole di quello che le principali ONG italiane, che fanno parte della rete, stanno facendo e partendo da una base di conoscenza comune. Si auspica a partire da questo un effetto di trazione rispetto all’intero settore.

Quali potrebbero essere i rischi dell’Intelligenza Artificiale nel terzo settore?

Bisogna dire che è stato approvato a marzo dal Parlamento europeo l’AI Act, che norma l’utilizzo di qualsiasi tipo dell’intelligenza artificiale ed ha un approccio basato sulle classificazioni di categoria di rischio. Per le categorie a più alto rischio l’AI Act impone ad esempio di fare un assessment sul rispetto dei diritti fondamentali.

Sicuramente nell’adozione di queste tecnologie l’aspetto della privacy va preso assolutamente in considerazione. L’aspetto più critico è il fatto che i dati che vengono scambiati nel corso di un processo generativo potrebbero essere utilizzati per il training, quindi per l’allenamento del modello e per ottimizzarne le prestazioni. È consigliato di evitare di inserire dati personali nella chat o lavorare i dati prima di fornirli, rendendoli anonimi.

Altri rischi sono costituiti da allucinazioni e bias. Con allucinazioni si intende la produzione di contenuti plausibili ma non veritieri, quindi, per esempio, nel contesto di una notizia di attualità può succedere che l’Intelligenza artificiale generativa produca un contenuto che risulta plausibile per come è formulato, ma non corrisponde al vero. I bias invece sono i pregiudizi e le distorsioni della realtà che l’IA può rispecchiare,  in base ai dati su cui è stata allenata. Si possono ad esempio registrare bias legati al genere, nel caso in cui l’IA produca immagini o narrative che ripropongono stereotipi.

Se ci spostiamo nello specifico del terzo settore, mi sono state riportate preoccupazioni sui rischi legati a due aspetti: 1) “Ma se tutti iniziamo a utilizzare questi strumenti per scrivere i progetti, i progetti saranno scritti tutti uguali?” e 2) “Ma con questo sistema alla lunga non perderò il lavoro?”. 

Nel primo caso si tratta di rischi legati all’uniformazione del contenuto. Secondo me tutto dipende da  qual è l’input che viene dato allo strumento per la produzione del suo output. Se vengono dati input di tipo estremamente generico, ad esempio chiedendo di scrivere una proposta di progetto sulla base di estratti della call for proposals, è probabile che vengano fuori contenuti simili.

Però il progettista non si limita a scrivere una proposta solo sulla base della call ma lo fa in base a quello che l’organizzazione fa sul territorio, il rapporto con i propri stakeholders, le analisi che sono state fatte, ecc. Se tutti questi elementi e queste informazioni vengono passate all’IA e utilizzate per produrre l’output finale, allora anche se tutti integrassero lo strumento di IA nella scrittura di progetto, i risultati sarebbero comunque differenziati. In conclusione c’è un rischio di uniformazione, se l’IA viene utilizzata in modo molto leggero e molto ingenuo.

Per l’altro rischio percepito da parte di chi è progettista, per me la risposta è no. Per produrre un contenuto di vero valore in questo contesto, la figura del progettista è indispensabile, sia per valutare un primo output dell’IA, sia per arricchirlo con le proprie competenze acquisite e professionalità specifica, l’unico modo per ottenere non semplicemente un testo comprensibile e coerente ad una prima lettura, ma una proposta di progetto competitiva.

Come formarsi sull’IA nel terzo settore?

C’è qualche network che si sta muovendo, in particolare nel Regno Unito, che sembra il contesto in Europa dove questo tema è più sviluppato. Un’organizzazione che sta facendo attività di formazione in merito è per esempio Charity Digital .

Si trovano anche molte risorse online ma può essere disorientante muovere i primi passi così, perchè ci sono opportunità formative molto variegate e spesso molto specifiche con utilizzi molto avanzati dell’IA.

Dal canto nostro quello che stiamo cercando di fare col no profit Italiano, con un approccio sistemico, non l’abbiamo visto altrove per ora, quindi tenete d’occhio le attività della Social Change. Il prossimo weblab rivolto a chi lavora nel terzo settore, si terrà il 17 giugno.

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