proiettore acceso e biglietto del cinema

Il cinema che dà voce agli invisibili: Terra di Tutti Film Festival 2021

Il cinema è la tua passione? Ti interessano l’attualità internazionale e i diritti umani? Hai voglia di scoprire storie che ti aprano la mente e ti colpiscano al cuore? Dal 4 al 10 ottobre si terrà la quindicesima edizione del Terra di Tutti Film Festival, a Bologna e online sul canale: https://www.terradituttifilmfestival.stream/.

Parliamo di cinema sociale, dei temi di quest’edizione e dei film da non perdere con Jonathan Ferramola, direttore artistico del festival.

Come e quando è nato il Terra di Tutti Film Festival?

Il Terra Di Tutti Film Festival (TTFF) è nato nel 2007, da un partenariato tra due ong bolognesi: Cospe e GVC, oggi WeWorld-GVC. Io per il Cospe e Stefania Piccinelli per GVC abbiamo dato forma alla prima edizione del festival, partecipando a un bando dell’Unione Europea. 

L’obiettivo del bando era sensibilizzare i cittadini rispetto a tematiche legate alla lotta alla povertà, alla cooperazione internazionale, allo sviluppo e ai beni comuni. Oggi per la UE si occupa di questo il programma DEAR (Development Education and Awareness Raising Programme). 

Quindi siamo partiti 14 anni fa da questo progetto europeo che si  chiamava Tierra de todos, con partner spagnoli e portoghesi. Oggi siamo alla quindicesima edizione di un festival che parla di tematiche sociali, attraverso il documentario sociale, e che si sta consolidando come una iniziativa culturale e non solo cinematografica. 

Il festival affronta sempre quei temi che sono alla base della cooperazione internazionale, ma in questi anni è cresciuto e ha vissuto un’evoluzione. Ad esempio la nostra sigla, che ci accompagna da qualche anno, è  “voci dal mondo invisibile”, mentre prima era “documentari e cinema sociale dal Sud del mondo”. 

I documentari e il cinema sociale continuano ad essere parte del nostro universo,  ma l’espressione “Sud del mondo” non ci sembra più calzante. Oggi siamo tutti più consapevoli che non esiste un Sud del mondo, ma ci  sono tanti Sud, anche all’interno del nostro Paese, e all’interno delle nostre città. 

locandinda TTFF 2021

Ormai percepiamo sempre più una cittadinanza globale. Secondo noi oggi non è la parte di mondo dalla quale arriva il messaggio a contare. A fare la differenza è il livello di visibilità di chi lo sta inviando.

Ci sono delle aree del mondo in cui le persone hanno il “privilegio” di poter comunicare, esprimersi ed essere ascoltate facilmente. È come se avessero un megafono a differenza degli invisibili, quelli che il megafono non ce l’hanno. Noi ci siamo voluti mettere dalla loro parte, la nostra missione è immaginare di passare finalmente a loro un megafono.

Un festival in un certo senso è un piccolo strumento di amplificazione della voce degli individui. Una voce che da sola può essere ascoltata solo da chi è molto vicino o molto sensibile. Questo è l’obiettivo che ci siamo dati: amplificare la voce del mondo invisibile.

Il festival è nato da due ONG italiane che si occupano di cooperazione allo sviluppo. Che ruolo ha il cinema per il terzo settore?

Il cinema è uno strumento di advocacy potentissimo. Provate a pensare a film come “Io sto con la sposa” di Gabriele Del Grande di qualche anno fa, o i film su Open Arms : Astral che abbiamo presentato al festival nel 2017, e il più recente Mediterraneo, che sta avendo un discreto successo in Spagna, entrambi raccontano quello che succede nel nostro mare.

E non dimentichiamoci di Gianfranco Rosi, che è diventato uno dei più grandi cineasti al mondo, vincendo il Leone d’oro al Festival di Venezia con Sacro GRA e l’Orso al Festival di Berlino con Fuocoammare, candidato anche all’Oscar per il miglior documentario.

Il cinema documentario, cioè il cinema del reale è diventato uno strumento fortissimo di advocacy, di pressione politica. Si tratta di uno strumento per raccontare problemi, comunità, temi, ma allo stesso tempo è anche intrattenimento. Direi che finalmente è uscito da una nicchia di pochi cinefili incalliti per diventare un cinema popolare. Alcuni film di questo tipo vengono ormai proiettati anche all’interno di iniziative delle istituzioni europee o durante gli incontri all’ONU. 

Secondo me il cinema documentario è uno degli strumenti di advocacy più potenti perché ha un linguaggio forte, non mediato, diretto. Sa coinvolgere ed è impattante proprio perché non è filtrato. È il racconto della realtà così come arriva dai territori. Ed è per questo che riesce ad arrivare soprattutto ai giovani, ma non solo.

videocamera vintage con pellicola

Come vengono scelti i film del TTFF?

Ogni anno apriamo un contest su FilmFreeway, una piattaforma di festival e registi. Qui i registi vedono che c’è una call aperta ed inviano i loro lavori, se rispondono  al manifesto di adesione al tema dell’edizione in corso del festival.

Quest’anno sono arrivati ben 612 film, prova che il festival cresce, anche a livello di visibilità internazionale. Sono arrivati film da tutto il mondo. Soprattutto dall’Italia e da altri Paesi europei, ma anche dal Medio Oriente, Iran, Cina, Russia, dall’Africa, dall’America Latina, ma anche da Siberia e Mongolia. 

Per scegliere i film del festival lavoro con un comitato di selezione, formato da alcuni collaboratori interni al COSPE e da studenti del Dams – Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo di Bologna. 

In un primo momento, ragazzi e ragazze del primo anno, guardano i film e cominciano a catalogarli. L’obiettivo è dare una forma all’incredibile quantità di materiale che ci arriva. Poi l’intero comitato procede per identificare i film i più interessanti. I passi successivi sono definire quali possono essere i filoni tematici da privilegiare e come si possono organizzare le proiezioni. Ed è così che piano piano arriviamo alla selezione dei 24 film da proiettare durante la settimana del festival.

È un lavoro complesso, di scrematura e di modellazione, per far emergere dalla materia grezza il festival.  Si cerca di fare un incastro che va per temi, per Paesi e per sensibilità. Mi piace pensare a questo lavoro come ad un mandala tibetano,  perchè ci vuole tempo e dedizione per prepararlo, fino a presentare il festival alla gente, che se lo gode il tempo di una settimana, si emoziona, vive nel momento le storie che racconta, e poi svanisce.

sala cinema piena di persone

Quali sono i temi principali di quest’anno?

Prima di rispondere faccio una premessa. Bisognerebbe immaginare il Terra di Tutti Film Festival come un grande condominio popolare. Dietro ogni finestra c’è una casa e dentro ogni casa ci sono delle storie. Storie diverse l’una dall’altra, con diverse sensibilità, idee, passioni, problemi, ma accomunate dall’essere parte di questo condominio.

Se si sceglie di andare in profondità su un unico tema, si rischia di escluderne tanti altri degni di attenzione. Sarebbe un pò come illuminare solo un appartamento del condominio, lasciando gli altri nell’oscurità. Questi non cesserebbero comunque di esistere o di avere una propria storia.

L’idea di fondo del festival, nello spirito dell’amplificazione delle voci del mondo invisibile, è quella di dare luce a tante storie contemporaneamente. Quest’anno possiamo però identificare tre aree tematiche, che fanno da contenitore per tante storie diverse.

La prima è: diritti delle donne. Ad esempio, apriamo uno spazio sull’Argentina, dove dopo tante battaglie, le donne hanno ottenuto il diritto all’aborto. Parliamo dei femminicidi in Messico e poi raccontiamo una donna coraggiosa come Nazrin l’avvocata iraniana minacciata dagli uomini al potere nel suo Paese.

Un secondo focus è sui cambiamenti climatici. Ci stiamo muovendo verso una irreversibilità della crisi climatica. Dopo la prima fase di emergenza Covid si sono riattivati i movimenti e sono ripartite le discussioni planetarie. E noi questo lo raccontiamo al festival, sia a livello globale, sia nei territori. Ad esempio parleremo di cosa vuol dire cambiamento climatico per le comunità del Mozambico o della Papua Nuova Guinea.


Il terzo asse rimane quello dei conflitti, delle crisi dimenticate, conflitti latenti, nascosti, spesso storicizzati e cancrenizzati, come Gaza, 10 anni di guerra in Siria, 20 anni in Afghanistan con gli ultimi sviluppi che irrompono anche sui media italiani.

Quali sono i film da non perdere di questa edizione?

Consiglio a tutti in particolare 5 film, facendo riferimento alla programmazione nelle sale di Bologna, ma ricordando che è possibile vedere tutti i film in streaming


Il primo film è la pellicola di apertura a  Bologna: “Shadow Game” di Eefje Blankevoort, Els van Driel, (lunedì 4 ottobre ore 21:00 al Cinema Europa) che racconta la storia di ragazzi che affrontano un percorso di migrazione dalla Siria verso l’Europa, attraverso la rotta balcanica e durante il cammino si auto-raccontano e si auto-filmano. Il film è molto potente e di forte impatto.

Shadow game locandina

Il secondo film è : “In Prima Linea” di Francesco Del Grosso (martedì 5 ore 20:30 al Vag61), che racconta la storia di 13 fotografi, italiani e non solo, che lavorano nei fronti di guerra, rischiando la vita in prima persona per raccontare nei loro reportage i conflitti. È affascinante perché racconta il funzionamento della “macchina” della cronaca fotogiornalistica dall’interno.

scena "In prima linea"


Il terzo film che consiglio è “The Silhouettes” (giovedì 7, ore 21:00 al cinema Galliera)  di una regista iraniana che racconta la storia della comunità afghana in Iran dagli anni 80 in poi. A causa dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, l’Iran accolse una prima grande ondata di profughi.

Questi profughi speravano di poter rientrare presto nel loro Paese. Tuttavia, con i conflitti successivi, soprattutto quest‘ultimo questo ventennale post 11 settembre, si sono trasformati da presenza provvisoria a comunità stabile in Iran. Questo racconto fa capire come la questione afghana, vista tra ieri ed oggi sia molto complessa, e presenti molte ripercussioni e ferite ancora non rimarginate.

scena "The Silhouettes"

Un altro film da segnalare è “Once you know” (sabato 9, alle 22:00 al Cinema Lumiere), che racconta come il nostro pianeta si stia incagliando sul cambiamento climatico. È un giro del mondo che raccoglie storie, esperienze, interviste a scienziati, attivisti, giovani su come stiamo andando verso una crisi irreversibile  e cosa si potrebbe fare per salvarci. È un film ben documentato, fresco, che ha ritmo. Un film che fa riflettere e ci fa capire che non c’è più tempo.

scena "Once you know"

L’ultimo film che vi suggerisco di vedere si chiama “Ophir” (domenica 10, alle 18:30 al cinema Lumière). Il film racconta le lotte di un popolo a noi pressoché sconosciuto, perché molto lontano, ovvero la comunità dell’isola di Papua New Guinea. Gli abitanti dell’isola del Sud est asiatico, ai confini tra Polinesia, Indonesia e Australia, vicino a Bali, si ribellano alla devastazione del loro territorio. Questa è una storia di riscatto, di resistenza e di ribellione molto bella e che ha vinto premi in tutto il mondo.

scena "Ophir"
Gloria Ripaldi

Abruzzese cittadina del Mondo. Ho sempre avuto la passione per l'ambiente e per il volontariato. Ho studiato ingegneria Energetica e ho proseguito con una magistrale tra Barcellona e Stoccolma in Sviluppo Sostenibile, con un focus sulla cooperazione internazionale, soprattutto in ambito tecnico. Grazie alle varie opportunità per giovani cooperanti ho avuto modo di lavorare in Mozambico, in Bolivia, Perù, Ecuador, Portogallo e Filippine Sono appassionata di temi come Climate Change Mitigation, Elettrificazione Rurale, Economia Circolare e Responsabilità Sociale di Impresa. Questo blog mi da la possibilità di sentirmi ogni giorno sul campo anche scrivendo da una scrivania.

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