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Come lavorare nella Cooperazione Internazionale

Hai interesse a lavorare nel settore della Cooperazione Internazionale. Ti appassionano temi relativi a sviluppo rurale, uguaglianza di genere, aiuto umanitario e diritti umani. Sul tuo curriculum hai già diverse esperienze di volontariato, una laurea in scienze politiche, relazioni internazionali, economia o scienze sociali ma non hai ancora trovato l’opportunità di lavoro che fa per te. Difatti sei finito o finita qui proprio alla ricerca di informazioni utili sul nostro sito Obiettivo Cooperante. È andata così?

Nell’articolo di oggi,   insieme a  Diego Battistessa, cooperante, latinoamericanista, ricercatore, attivista per i diritti umani, e creatore del blog CivisMundi, proveremo a spiegarti come fare a lavorare nella Cooperazione Internazionale. Nel caso te lo stessi chiedendo: non c’è una ricetta giusta o uguale per tuttə per lavorare nella cooperazione allo sviluppo. Ma tenteremo ugualmente di dare risposta alle domande più ricorrenti sulla figura del cooperante.

Buona lettura!

Diego che lavoro è quello della cooperante e del cooperante internazionale? 

La figura del cooperante è una figura in continua evoluzione perché gli strumenti di lavoro, le tecnologie, le dinamiche stesse del settore sono in continua evoluzione. 

Spesso quando si parla di cooperazione si mette tutto in un grandissimo calderone, senza fare delle differenziazioni di base che sono importantissime.

Quando si dice cooperazione è come aver detto sport, cioè tutto e niente. Dire di voler lavorare nella cooperazione  è come dire di voler partecipare alle Olimpiadi senza sapere a che disciplina sportiva dedicarsi.

Sicuramente quando pensiamo alla cooperazione internazionale dobbiamo identificare almeno due grandi macroaree che sono: la cooperazione allo sviluppo e l’intervento umanitario o emergenza. Queste infatti sono le aree di intervento principali.

La cooperazione allo sviluppo è, per così dire, “nipote” del piano Marshall, che ha cambiato  l’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Oggi vede nell’OCSE l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico il suo punto saldo, con 36 Paesi che si occupano a livello internazionale di dirigere le politiche di sviluppo. E poi abbiamo l’altra macroarea che è  l’aiuto umanitario con intervento in situazioni di emergenza, come in caso di conflitto o disastri naturali.

Io poi aggiungerei anche ‘migrazione e rifugio’ e ‘inclusione sociale’ come aree distinte, perché per lavorarci c’è bisogno di capacità e di una preparazione particolari. 

Dentro il mondo della cooperazione c’è anche un universo di attori istituzionali, della società civile, governativi, multilaterali che operano in diversi ambiti. Tutto questo per dire che siamo di fronte a un mondo molto complesso. Un mondo che va capito e mappato e ci offre una serie di opportunità rilevanti di crescita professionale.

“Spesso, si identifica il lavorare in quest’ambito con il partire – Mi metto questo zaino sulle spalle e parto- perché c’è ancora questa immagine della cooperazione come una professione romantica, nella quale si viaggia, si fanno esperienze che ti cambiano dentro profondamente, come se la mobilità fosse un elemento imprescindibile”. 

In realtà non è così. La cooperazione internazionale si sviluppa sia dalle centrali del nord politico del mondo, sia dai progetti che vengono sviluppati nel sud politico del mondo, in quelli che vengono chiamati in inglese Least developed countries

Cooperazione non vuol dire per forza partire e partire non vuol dire per forza essere cooperanti. Sono due elementi che non possono essere utilizzati come sinonimi.

Non è vero che per fare cooperazione bisogna per forza lasciare l’Italia. C’è già invece una schiera di tante professioniste e professionisti nel nostro Paese che stanno lavorando su progetti di cooperazione internazionale. Ovviamente hanno funzioni chiaramente molto spesso diverse da quelle che si realizzano on the field , in terreno.

Che motivazioni ti possono spingere a lavorare in questo settore? 

Per me è molto semplice. Chiunque oggi senta di non trovarsi conforme alle ingiustizie sociali che viviamo nel mondo, vuole cambiare le cose, vuole essere parte di questo cambiamento. Nel voler essere dinamizzatore, dinamizzatrice di un cambiamento sociale, vuole perciò mettersi a disposizione.

Le schiere di giovani che partono per il servizio civile internazionale, che fanno il servizio civile in Italia, che partecipano all’EUAV  program, ai corpi civili di pace, ai Solidarity Peace Corps dell’Unione Europea, sono la meglio gioventù. Sono quelle persone disposte a mettere il loro tempo, la loro passione e la loro professionalità al servizio degli altri.

Quando ancora  frequentavo Scienze per la pace all‘università di Pisa, partecipai a un evento di Libera con don Ciotti. Lui disse una frase che mi è rimasta veramente dentro. “La vita ci chiede un impegno: mettere la nostra libertà a favore di chi libero non è”. Io credo che questo sia un messaggio che rispecchia moltissimo quello che sentono le persone che si vogliono dedicare alla cooperazione. 

Essere cooperanti è un mestiere che ti chiede di essere quello che fai, non qualcosa che fai per 8 ore lavorative, o un’uniforme che ti metti addosso e una volta tolta non ti interessano più i diritti umani, non ti interessa più l’uguaglianza di genere, non ti interessa più la protezione dell’ambiente. È una forma mentis, uno stile di vita, un attivismo professionale, è una militanza umana,  un sentimento di ospitalità cosmopolita.”

Qualcosa che porti dietro a qualsiasi latitudine, in Italia e in altri continenti, lavorando con diversi gruppi in situazione di vulnerabilità, tenendo sempre ben presente che non siamo eroi o eroine. Siamo professionisti e professioniste, con i nostri limiti e con la necessità di continuare una formazione costante per essere un ingranaggio di cambiamento.

Lavorare in cooperazione ci mette di fronte a molte sfide. Perciò non può essere una via di fuga da problemi, da delusioni professionali o amorose, ma una scelta e fatta in modo lucido  e ragionato. Ma se mi dovessero  chiedere: “Perché hai scelto di fare il cooperante e cosa ti porti dietro dalla cooperazione?”, non ho nessun dubbio. Questa professione mi ha permesso e continua a permettermi di essere la migliore versione di me stesso.

Quali sono le qualità o le caratteristiche essenziali che ogni aspirante cooperante dovrebbe avere? 

Una persona che vuole lavorare nella cooperazione internazionale deve prima di tutto capire qual è la sua disponibilità nel confrontarsi a un contesto sfidante. 

Sono importanti quelle doti umane, che possono essere chiamate soft skills. Quelle che ci permettono di sviluppare una grande capacità di ascolto, una spiccata capacità di lavoro in contesti multiculturali, una grande capacità di essere team builder . Ma anche il saper sviluppare una leadership che va verso l’ autorevolezza e non l’autoritarismo, la capacità di seguire regole e protocolli e un importante spirito di sacrificio.

Dico questo perché non dobbiamo pensare alle figure del cooperante e della cooperante come dei robot. Professionisti e professioniste che si occupano esclusivamente di portare avanti progetti e metodologie in maniera disinteressata rispetto a quello che succede intorno. 

“Si tratta di persone che hanno un’importante vocazione verso la giustizia sociale, di persone che vogliono essere strumenti per il cambiamento delle vite di altre persone che si trovano in  una situazione più sfavorevole o di vulnerabilità, e che capiscono che lo devono fare in modo corretto attraverso quelle che sono le hard skills, cioè attraverso quelle che sono le procedure, le tecniche e i protocolli che ci permettono di lavorare in maniera omogenea, effettiva ed efficace in contesti particolarmente complessi.” 

Lo ripeto spesso: per fare del bene bisogna farlo bene. Dotati solo del nostro spirito altruistico e della nostra volontà di essere utili non possiamo essere reali strumenti di cambiamento.

Il nostro impatto deriva dalla capacità che abbiamo di mettere in pratica le tecniche, gli strumenti e le procedure che oggi sono le regole di base per lavorare nei contesti di cooperazione internazionale. Questo è vero sia per quanto riguarda lo sviluppo sia per quanto riguarda l’aiuto umanitario. 

Per favore no “self-made humanitarian worker” cioè non cooperanti fai da te! Abbiamo bisogno di persone che siano assolutamente coscienti dei rischi, e comprendano come si lavora in questi contesti complessi.

Nonostante esistano percorsi universitari incentrati sulla cooperazione, molti ottenuto il titolo non sentono ancora di avere gli strumenti pratici necessari. Questa è una delle ragioni per investire poi in un master o un’esperienza all’estero con un programma di volontariato

È vero che spesso l’università italiana tende ad essere troppo nozionistica. Ad esempio per lavorare in cooperazione allo sviluppo è sicuramente importante conoscere il project management. Di solito il ciclo del progetto è un tema che non viene affrontato nemmeno nelle lauree triennali o magistrali che hanno la parola ‘cooperazione’ nel titolo. 

Cosa posso fare se sono all’università? Fare pressione sul coordinatore o la coordinatrice del corso di laurea per invitare persone competenti che facciano un seminario di orientamento professionale. E poi ci si può rivolgere agli enti di volontariato territoriale per cominciare a mettervi in gioco nel tempo libero. 

Se poi voglio anche fare volontariato all’estero, magari durante l’estate, ricordatevi che per fare del bene bisogna farlo bene! Quindi con una rete di organizzazioni sicure che prima vi formano e che hanno dei progetti concreti. Ancora meglio se lavorano con dei finanziamenti pubblici, perché vuol dire che devono seguire certe regole e assicurare la trasparenza e una accurata rendicontazione.

Se poi terminata l’università pensate ad un master per acquisire competenze realmente spendibili all’interno del settore, le hard skills, scegliete un master tecnico specifico. Perchè un master di questo tipo permette di interconnettersi velocemente al settore. Al contrario se ancora una volta si tratta di  un percorso nozionistico, non farete passi avanti. 

In alternativa si possono fare anche altre esperienze che permettano un learning by doing,  partecipando a programmi come il servizio civile internazionale, gli EU Aid Volunteers, i corpi civili di pace, i corpi europei di solidarietà. Infatti questo permette di provare sul campo, insieme a professionisti e professioniste, non da soli, cosa voglia dire lavorare su determinati tipi di progetti e quali siano i punti centrali per esempio del project manager. 

Cosa si può fare per avvicinarsi alla cooperazione internazionale e identificare possibili aree di lavoro e datori di lavoro?

In generale se voglio avvicinarmi al settore (e ci sono anche persone di 30, 40, 50 anni che dopo una carriera nel profit vogliono avvicinarsi alla cooperazione), sicuramente devo esplorare la rete. Questo per capire quali sono i forum e gli spazi dove posso trovare delle informazioni, verificare e confrontare queste informazioni, e soprattutto “Rely on professionals” ascoltare i professionisti.

È importante tenere presente che: il settore non discrimina in base al corso di laurea dal quale provenite. Sì, ci sono delle lauree tecniche come economia ed ingegneria che possono apparire diciamo più interessanti per il settore. Tuttavia come andrete a professionalizzare il vostro profilo conta molto più del titolo che avete. 

Inoltre, nella cooperazione internazionale la formazione continua è una costante. La domanda che ognuno dovrebbe farsi è:  “sto dando la miglior versione di me stesso a questo progetto e ai destinatari e alle destinatarie del progetto? oppure loro si meriterebbero qualcosa di più?”. 

Per avvicinarsi a questo settore è però fondamentale fare un assessment personale. Cosa significa? Dovete farvi delle domande chiare: quale regione del mondo è la regione nella quale ti senti più a tuo agio? Con che genere di persone in situazione di vulnerabilità ti senti più comodo nel poter lavorare? Qual è l’ambiente di lavoro che ti stimola di più? Sono tutte domande, che permettono di capire dove uno poi si vede, dal punto di vista professionale, nel futuro.

Potreste non avere subito le risposte a questo tipo di domande e non c’è nessun problema.

Se ad esempio non sono sicuro di vedermi a lavorare on the field, posso provare a fare il servizio civile internazionale, passare un anno all’estero e poi capirlo. 

Mi vedo a lavorare in determinate regioni del mondo? Prima mi informo, imparo la lingua, cerco di capire com’è il contesto. Poi se voglio fare un’esperienza in quella regione del mondo cerco di andare con un’organizzazione che ha una lunga e dimostrabile traiettoria nell’area. Cerco di capire se posso lavorare lì, poi decido. 

Io ormai da quasi 10 anni mi dedico all’America Latina. Però la mia prima esperienza nella cooperazione internazionale è stata in India con un’organizzazione italiana in partnership con un’organizzazione locale. Poi sono stato in Burkina Faso con un’organizzazione confessionale italiana. Dopo il World social forum a Tunisi del 2013 mi vedevo proiettato verso il Maghreb e  Mashreq. Ma ad un certo punto è arrivato l’Ecuador e da lì è cambiato tutto e non riesco a staccarmi in nessun modo dall’America Latina.

All’inizio lavoravo su comunità rurali e progetti di sviluppo, oggi lavoro su diritti umani, principalmente su donne in situazione di migrazione e rifugio. Sono stato e sono consulente, professore universitario e formatore.

Vi racconto questo per dire che è cambiato molto nel mio percorso professionale.

“Non potete decidere a 22, 23 anni che cosa volete fare, lasciate che le esperienze fluiscano e che vi portino attraverso delle decisioni che poi si maturano col tempo, comprendendo in quale situazione siete più a vostro agio e riuscite a dare il meglio.”

Però attenzione, perché questa situazione, questa posizione, può facilmente cambiare nel corso della vita. Lasciate che sia il settore ad offrirvi le possibilità e rimanete sempre open mind rispetto a tutto quello che vi può capitare a livello professionale.

Per saperne di più, clicca sul link al libro di Diego Battistessa “Vorrei fare il cooperante. Come trasformare un sogno in una professione”, oggi anche in versione cartacea dopo l’ebook pubblicato nel 2018.

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