Vuoi fare un’esperienza di volontariato internazionale? Stai cercando un’organizzazione con cui collaborare? Oggi parliamo con Chiara Minigutti di Ayni Cooperazione del buon volontariato internazionale e di come non cadere nella trappola del volonturismo.
Com’è nato Ayni cooperazione e come funziona il portale?
Ayni cooperazione è nato dopo la mia esperienza come cooperante in Perù. Ero a Cusco con LAFF, una piccola organizzazione che lavorava molto col volontariato internazionale.
In tutta la zona c’era una forte presenza di volontari. Venendo a contatto con quell’ambiente, conoscendo storie di volontari e di organizzazioni diverse, ho cominciato a maturare uno spirito critico verso il volontariato internazionale. Riconoscevo che non tutti i progetti di volontariato internazionale erano fatti bene.
Tornando in Italia con mio marito, Ivan Corimanya, è nata l’idea di creare una piattaforma informativa che permetta alle persone interessate al volontariato internazionale di conoscere direttamente organizzazioni che fanno un buon lavoro.
Tutte le organizzazioni che trovate sul portale sono no profit, reclutano volontari senza l’intermediazione di agenzie, hanno già esperienza nell’accoglienza di volontari stranieri, e possono presentare almeno una referenza positiva da parte di chi ha trascorso un periodo con loro.
Abbiamo cominciato includendo le organizzazioni che conoscevamo direttamente, poi su segnalazione di amici e colleghi. Infine abbiamo cominciato a contattare organizzazioni che trovavamo su Internet. Oggi riceviamo candidature spontanee da parte delle organizzazioni.
Facciamo sempre un questionario di ammissione e chiediamo referenze di ex volontari per verificare che offrano le condizioni idonee per un volontariato. Non molte volte, ma ci è anche capitato di negare l’inserimento in piattaforma perché non ritenevamo soddisfatti i nostri standard.
Cosa rende la presenza di volontari realmente utile all’organizzazione ospitante?
Io penso che la responsabilità del successo di un programma di volontariato risieda sia nell’associazione sia nel singolo volontario. Tuttavia, l’organizzazione detiene un pò più di responsabilità rispetto al volontario. È l’organizzazione infatti che dovrebbe guidare la persona verso un volontariato consapevole.
Una volontaria, o un volontario, soprattutto se molto giovane e/o alla prima esperienza, si può considerare responsabile sicuramente di doversi formare ed informare, ma non molto altro.
Ovviamente dovrà impegnarsi, nel rispettare quelli che sono i requisiti e le richieste dell’associazione e fare tutto quello che è in suo potere per dare all’associazione ciò che si aspettano da lui o lei.
Sono però le associazioni che devono fare in modo che il volontariato sia una risorsa effettiva, che permetta di realizzare quella che è la loro mission, i loro programmi, gli obiettivi finali. Nei casi in cui i volontari diventano un’appendice, nel senso che non si sa neanche veramente cosa fare con loro, c’è qualcosa che non va.
Nell’associazione in cui ho lavorato in Perù, abbiamo sempre avuto volontari nazionali ed internazionali. I volontari erano per noi necessari al funzionamento dei programmi, che erano pensati per coinvolgerli nel migliore dei modi.
E questi sforzi hanno sempre avuto successo: il volontario o la volontaria che, al suo arrivo, si impegnava e faceva le cose per cui era stato reclutato o reclutata, per noi ha sempre portato un arricchimento.
E sono sicura che possa essere così per qualsiasi associazione che si prenda il tempo di pensare perchè vuole reclutare dei volontari, cosa possono fare, come possono contribuire sul serio agli obiettivi dell’organizzazione. Se non si fa questo, accogliere volontari è del tutto inutile.
L’etica del volontariato
Le associazioni hanno un ruolo fondamentale nella sostenibilità e nell’etica del volontariato. E penso che debbano essere responsabilizzate dell’uso che si fa del volontariato stesso.
Un buon grado di consapevolezza in merito a come e per cosa si gestiscono volontari non è uniformemente diffuso. Dipende molto dalla grandezza dell’associazione, ma soprattutto da quanto questa conosce il volontariato internazionale e la cooperazione.
Ci sono organizzazioni locali che potrebbero secondo me trarre moltissimo dal volontariato internazionale, ma impiegano i volontari in una maniera poco efficace. L’esempio più comune è cercare volontari per giocare con i bambini. Ma invece di reclutare il volontario che gioca con i bambini perché per esempio non reclutare persone con esperienza di pedagogia che possano sviluppare un curriculum?
Poi, noi come Ayni cerchiamo di diffondere consapevolezza nei volontari. In questo modo, anche se si arriva in un’associazione che risulta non essere proprio in grado di gestire un programma di volontariato con un vero impatto sociale, il volontario possa aiutarla a posizionarsi nella giusta direzione. Un volontario con consapevolezza potrà rispondere, tornando al nostro esempio: “ Io gioco con i bambini, ma ti scrivo anche il curriculum”.
Noi cerchiamo di aiutare il futuro volontario a esercitare uno spirito critico. In questo modo, potrà leggere le situazioni ed essere attivo ed utile, in qualsiasi organizzazione venga accolto. Talvolta può essere il volontario stesso a stimolare un nuovo modo di intendere il volontariato presso l’organizzazione.
Il ruolo della formazione per il volontariato internazionale
Per alimentare questa consapevolezza tra i futuri volontari la formazione è fondamentale. Una formazione che abbia a che fare con le motivazioni, con le responsabilità del volontario ecc.
Infatti, mentre le organizzazioni per forza di cose formano i volontari alle attività pratiche che dovranno svolgere, presentando loro il contesto, la storia e le attività dell’organizzazione, manca spesso un inquadramento teorico del volontariato.
Ed è qui che Ayni ha voluto mettersi in gioco. Noi cerchiamo proprio di offrire una formazione su questa parte teorica, generica. Che sia utile per chi fa volontariato con una delle 120 associazioni del nostro portale o con altre organizzazioni esterne. Cominciando dal contrastare una motivazione molto parziale e pericolosa tra i futuri volontari: quella di voler “andare a salvare il mondo”.
La cosa che mi fa piacere, ma allo stesso tempo mi sorprende, è che molte persone dicono “il corso mi ha aperto gli occhi”. Evidentemente prima avevano un’idea diversa di cosa fosse il volontariato all’estero.
Quello che cerchiamo di fare nei nostri corsi è spingere le persone a riflettere, ad esercitare un pensiero critico e arrivare alla loro versione di come stanno le cose, proponendo esperienze, materiali, indagini che promuovano la discussione. Ad esempio il volonturismo secondo accademici di questa università ha queste conseguenze. Parliamone. Cosa ne pensi?
Anche quando il volontario non è inizialmente molto consapevole, una formazione nella giusta direzione può aumentare lo spirito critico della persona che parte, e di conseguenza le possibilità poi di fare un buon lavoro.
Che opportunità di formazione offre Ayni?
Ayni offre dei corsi di formazione attraverso Ayni Scuola, la nostra piattaforma e-learning con corsi on-demand e il Social Lab, con l’aggiunta di laboratori interrativi e chat collaborativa. Quest’ultimo è nato come supporto al volontariato online. Scoppiata la pandemia, all’improvviso tutti volevano fare volontariato online ed il nostro portale è stato sommerso.
Alcune di queste prime esperienze di collaborazione online, però, hanno incontrato grosse difficoltà. È capitato ad esempio che le aspettative dell’associazione fossero un pò troppo alte, e il volontario non sapendo bene cosa fare, ricontattava noi di Ayni. Ad esempio: “Mi hanno chiesto di aiutarli nella scrittura progetti, ma dove li trovo dei donor?”.
Ci siamo resi conto che serviva un supporto in più, un percorso per così dire di orientamento. In risposta a questi stimoli, per permettere ai volontari di avere un impatto maggiore nella loro esperienza di volontariato online è nato il Social Lab.
Il Social Lab
Questo programma di formazione ha 3 pilastri: la progettazione, la comunicazione ed il fundraising.
Il percorso di progettazione è quello che piace di più, forse perché abbraccia vari aspetti, come la partecipazione, la sostenibilità e gli strumenti del progettista. Per quanto non sia professionalizzante al pari di un master o un corso specialistico, cerchiamo di insegnare gli elementi fondamentali della materia.
E soprattutto, trasmettere l’idea che dietro un progetto di cooperazione internazionale c’è e dev’esserci un lavoro svolto da professionisti, che permetta di partire da un problema e arrivare a una soluzione, attraverso la partecipazione degli stakeholders e una serie di strumenti tecnici.
Il percorso di comunicazione include le pratiche comunicative a tutto tondo: gestione social media, principi di brand marketing, come farsi conoscere e costruire una visibilità, unito all’etica della comunicazione della cooperazione. Si parla molto di decolonizzare la comunicazione della cooperazione, cambiare la narrazione e i suoi protagonisti, per renderla più inclusiva.
Infine il percorso di fundraising che sarà disponibile tra gennaio e febbraio 2022 ed è decisamente più tecnico. Tuttavia, anche lì cerchiamo di promuovere un concetto di fundraising diverso dal chiedere la carità. Un fundraising che sia per il donatore un invito a partecipare. Partecipare ed essere parte della vision e della mission della tua organizzazione.
Siamo convinti che continuare a fare fundraising facendo leva sul senso di colpa mostrando immagini desolanti, di persone che soffrono, sia poco etico e controproducente.
Poco etico perché non tutela la dignità dei soggetti rappresentati e dei beneficiari degli interventi. Controproducente perché se racconti così un Paese straniero o spesso addirittura un continente, nella testa delle persone entra l’idea che lì sono tutti poveri, sono tutti soggetti passivi che non riescono a “salvarsi da soli”.
Ripensare la narrativa della cooperazione
Questa comunicazione porta a semplificare troppo la realtà, con l’idea che ci sia qualcuno da salvare da qualche parte del mondo. Invece, in realtà si tratta di dover cambiare tutti un sistema che non funziona, un sistema iniquo e ingiusto.
Il settore della cooperazione è uno di quelli che più si interroga, senza trovare una risposta univoca, su come raccontarsi. Anche perché manca un’idea, una definizione comune e chiara di quello che la cooperazione fa. A causa di un settore che non si sa raccontare, la gente ha idee molto diverse di cosa sia la cooperazione e di cosa faccia un cooperante.
Bisognerebbe sempre tener presente che, come la parola stessa “cooperazione” suggerisce non si tratta semplicemente di aiutare qualcuno che si trova in un altro luogo, ma al contrario, insieme, collaborando costruire un nuovo modo di vedere il mondo.
C’è una responsabilità importante, nel raccontare un’area o un problema. Non puoi ridurre tutto a stereotipi, a poverty porn, per sfruttare i sensi di colpa delle persone.
Anche perché questa comunicazione spinge poi la gente a dire: “ma allora la cooperazione non funziona! io da anni dono 10 € al mese e ci sono sempre gli stessi problemi, non è cambiato nulla!”.
Inoltre, se le persone associano la cooperazione internazionale alla beneficenza, allora risulta difficile riconoscere il ruolo dei cooperanti. Perchè così si tende a pensare ai progetti di cooperazione solo come raccolta e distribuzione di beni, semplicemente un’azione di carità appunto, senza vedere le persone che pianificano progetti di sviluppo, fissano obiettivi e strategia, ecc.
Perchè fare volontariato all’estero?
Perché fare volontariato all’estero? Per gli stessi motivi per cui si fa volontariato sotto casa: è partecipazione sociale.
Poi nel volontariato all’estero ci sono anche altri elementi, perché ti mette in contatto con un contesto socio-culturale completamente diverso dal tuo. Quindi permette di aprire la mente e ampliare i propri orizzonti.
Ma le motivazioni di fondo sono le stesse. Non è raro che una persona che fa volontariato in Italia, lo faccia anche all’estero, perché è lo stesso spirito che ti anima. L’uno non esclude l’altro.
Ayni nella lingua quechua significa “reciprocità”. Noi di Ayni crediamo infatti di essere tutti una una grande comunità. I confini esistono, e chi ha i passaporti di certi Paesi lo sa benissimo. Però noi esseri umani non ragioniamo in base ai confini, ma pensiamo come membri di una stessa comunità.
Oggigiorno ce ne rendiamo conto più che mai perché siamo tutti sulla stessa barca. Anche se abitiamo in Paesi diversi, ci sono cose che non guardano i confini, come i cambiamenti climatici, le migrazioni, il Covid. E allora perché se qualcuno vuole praticare partecipazione sociale, deve guardare ai confini?
Quali sono le difficoltà e i vantaggi del volontariato online?
Le difficoltà principali rientrano nell’ambito della comunicazione. Da un lato nel comprendersi dal punto di vista professionale. Cosa vuole questa associazione da me? Cosa posso offrire io?
Dall’altro nel trasmettere la passione per la causa e gli obiettivi dell’organizzazione. Cosa che in presenza è molto più facile. È complicato motivare le persone che non sono lì con te. Collaborando online, senza vedere il contesto dell’associazione con i propri occhi è molto più difficile comprendere la mission e le strategie.
Però devo dire che in molti contesti queste difficoltà sono state egregiamente superate, con organizzazioni che hanno saputo creare delle squadre coese intorno a loro, includendo volontari online che si sono andati appassionando sempre più . Ovviamente per farlo sono andate oltre le email, sfruttando chat di whatsapp molto attive e condividendo foto, messaggi vocali, ecc per coinvolgere di più anche a distanza.
Volontariato online e volontariato all’estero sono due attività di partecipazione sociale che possono tranquillamente coesistere, e che anzi si rafforzano a vicenda.
Ad esempio il fatto di andare a visitare in loco un’associazione per cui hai fatto volontariato online per mesi, può rendere l’esperienza sul campo molto più appagante, perché conosci già il contesto. O, al contrario, una volta che hai fatto volontariato sul campo, il volontariato online è un modo per continuare anche quando torni a casa.
Secondo me il volontariato online ha tanti vantaggi. Ad esempio, a differenza del volontariato sul campo, è qualcosa che puoi fare anche per anni, se riesci a ritagliarti i tempi e a scegliere i progetti giusti. Ha il grande vantaggio di poter dare continuità, una lunghezza alla collaborazione.
Inoltre in questo contesto pandemico, fare un’esperienza di volontariato online comincia anche ad essere valutato sul curriculum nella ricerca lavoro. Gli stessi recruiters secondo me cominciano a guardare a questo tipo di esperienze, sapendo che permettono di maturare tante competenze utili al mercato del lavoro.