Riccardo Toso Storie dal Campo

Riccardo: come ho costruito il mio percorso da cooperante

Riccardo Toso coordinatore regionale in Colombia con Terre des Hommes Italia ci racconta del suo lavoro e del suo percorso da cooperante

Cosa faccio in Colombia

Mi chiamo Riccardo Toso, ho 28 anni, sono ligure di nascita ma cosmopolita di vocazione, come dico sempre. Mi trovo da dieci mesi a Cúcuta, una cittadina colombiana al confine con il Venezuela.

Lavoro con Terre Des Hommes Italia come coordinatore della missione per la regione Norte de Santander, uno dei dipartimenti più afflitti dal flusso migratorio venezuelano e dal conflitto armato colombiano. Sono project manager di un progetto piuttosto grande, ma allo stesso tempo supervisiono l’insieme di tutti i progetti che l’organizzazione ha in questa zona.

Nel mio lavoro quotidiano in Colombia mi occupo di un po’ di tutto: dalla programmazione ed esecuzione delle attività, alla gestione del budget, passando per la gestione del personale, del monitoraggio e della valutazione. In particolare, abbiamo progetti di microimprenditoria femminile finanziati da donors internazionali, un programma di adozioni a distanza con fondi privati di TDH e gestiamo un comedor (una mensa) con il World Food Programme per garantire la sicurezza alimentare delle persone in transito provenienti dal Venezuela.

microimprenditoria femminile

I progetti

Per quanto riguarda il supporto alla microimprenditoria, offriamo corsi di formazione, in collaborazione con enti nazionali accreditati e alla fine del percorso dotiamo le partecipanti di un capital semilla o capitale iniziale e delle attrezzature di base per avviare la propria attività. Finanziamo saloni di bellezza, ristoranti, negozi di artigianato, progetti produttivi con polli e suini, panetterie e altre piccole iniziative, per garantire la generazione di entrate durature per categorie vulnerabili della popolazione.

Le beneficiarie principali sono migranti venezuelane, ma lavoriamo anche con colombiane che sono state vittime del conflitto armato o ritornano dal Venezuela dopo il loro esodo negli anni 90. Nella zona dove lavoriamo, conosciuta come Catatumbo, l’incidenza del conflitto armato è stata e continua ad essere rilevante, con molte vittime del conflitto armato, reclutamento forzato e profughi interni.

Supportiamo anche associazioni di donne, oltre che singoli individui, sempre fornendo loro corsi, macchine ed attrezzature. Si tratta di microimprese produttive, tutte al femminile, che lavorano ad esempio prodotti tipici come il cacao, il caffè o il miele.

A Cúcuta e Bogotà gestiamo da quasi 10 anni un programma di adozioni a distanza. Attraverso piccoli contributi fatti da cittadini italiani sosteniamo all’incirca 200 giovani che vivono in barrios (quartieri) vulnerabili delle due città e che hanno subito le peggiori conseguenze del conflitto armato (dallo spostamento forzato, alla perdita dei propri cari fino al reclutamento da parte dei gruppi guerriglieri). Facilitiamo il loro ingresso a scuola, donando materiale scolastico, offrendo attenzione sanitaria e nutrizionale, ma anche un posto dove studiare, giocare e sentirsi al sicuro.

Il comedor che gestiamo, invece, si trova al confine con il Venezuela, all’interno di uno spazio di accoglienza e attenzione integrale per migranti venezuelani creato da varie organizzazioni (Ong, agenzie ONU, enti pubblici) che aderiscono al GIFMM, il Grupo Interagencial sobre Flujos Migratorios Mixtos presieduto da IOM e UNHCR. Si tratta soprattutto di caminantes, ovvero persone in transito che si dirigono a piedi verso città più grandi come Medellin, Bogotà o altri Paesi, lasciando la Colombia per andare in Ecuador o Perù.

consegna materiali

Gli inizi alla ricerca di opportunità per partire

Ho studiato relazioni internazionali e cooperazione, prima a Firenze e poi a Bologna. Successivamente ho frequentato un master in studi latino-americani a Madrid e lì mi sono innamorato dell’America Latina.

Ho completato il mio percorso accademico con un corso per project manager offerto dall’ONG italiana COOPI. Un corso che consiglio assolutamente, perché mi ha insegnato molte delle cose che oggi faccio nel mio lavoro quotidiano. Si tratta di un corso di tre mesi molto intenso, che affronta veramente tutti gli argomenti che devi conoscere per fare il project manager. Dalla gestione del budget alla programmazione a monitoraggio e valutazione, alla comunicazione, poi le partnerships e la scrittura progetti.

Ormai arrivato alla fine del corso, sono stato contattato da Terre des Hommes per un colloquio fatto tre mesi prima e con gioia ho accettato il mio attuale lavoro qui a Cúcuta.

Prima di arrivare in Colombia, ho trascorso sei mesi presso la sede dell’organizzazione in Nicaragua. Lì sono stato formato dal responsabile per l’America Latina e Centrale. In quel periodo, nel ruolo di Junior Project manager, sono cresciuto moltissimo professionalmente.

Durante gli studi ho fatto volontariato in Italia con CEFA e due campi di volontariato internazionale in Kenya e Tanzania. Il primo su educazione ambientale ed empowerment femminile, mentre il secondo per sostenere le attività di alcuni orfanotrofi nella zona dei grandi Parchi. Sono poi stato in Erasmus a Madrid, ho svolto un internship all’ambasciata italiana di Maputo, in Mozambico. Infine ho fatto un tirocinio in progettazione e gestione progetti con il programma Erasmus Plus a Barcellona.

Durante gli anni dell’università ero sempre alla ricerca di opportunità per andare all’estero. Ero affamato di tirocini, cose nuove, esperienze diverse.

riunione

Come sono arrivato in Colombia

Nonostante la varietà di esperienze all’estero, da sempre avevo in testa l’idea della Colombia, forse per documentari che avevo visto da bambino. Per questo nel 2019, finita la magistrale, ho fatto domanda per i Corpi Civili di Pace per un progetto a Medellin.

L’organizzazione di invio era una piccola ONG di Roma che si chiama PRO.DO.C.S, socia della federazione FOCSIV. A Medellin prestavo servizio presso una ONG locale chiamata Salva Terra. Collaboravo a diverse iniziative, soprattutto nella fase di monitoraggio delle attività, quali orti comunitari urbani. Oltre ai progetti produttivi negli ETCR, gli espacios territoriales de capacitacion y reincorporacion, cioè centri per il reinserimento nella società di ex guerriglieri delle FARC.

Il mio periodo di servizio è finito un mese prima del previsto, quando il COVID ha costretto tutti i volontari a rientrare in Italia. Qui abbiamo trascorso le ultime settimane collaborando con le organizzazioni di invio nella scrittura progetti o nella comunicazione.

Al termine di questo periodo volevo assolutamente ritornare in Colombia. Feci molte applications, ma per alcuni mesi non riuscì a trovare nessuna opportunità. Alla fine, qualcosa uscì, ed eccomi ora con Terre des Hommes.

Consigli per aspiranti cooperanti

Secondo me il servizio civile o i corpi civili di pace sono fondamentali se vuoi lavorare nella cooperazione internazionale. Perché sono esperienze che ti danno l’idea di quale potrebbe essere il tuo lavoro sul campo.

Penso che l’ideale sarebbe arrivarci dopo aver fatto esperienze di volontariato più brevi. Per essere già consapevole delle tue debolezze in contesti del genere e lontano da casa. Anche per renderti conto se hai l’attitudine e le caratteristiche personali per fare il cooperante.

Non c’è un percorso definito per entrare nella cooperazione. Però sicuramente c’è un contesto, uno spazio di manovra dove muoversi, un insieme di opportunità che possono aprirti delle strade. Sicuramente consiglio di approfittare di tutte le opportunità che offre l’università, dai tirocini all’Erasmus. E poi il Servizio Civile, i Corpi Civili di Pace, il Servizio Volontario Europeo, l’ EUAV, la Fellowship UNDESA, il JPO Programme, gli UN Volunteers. Chi fa il mio lavoro avrà fatto sicuramente una o più di queste esperienze.

Parlare con persone che fanno questo lavoro per conoscere il loro percorso potrebbe essere molto utile. E poi studiare, dentro e fuori dell’università, in maniera indipendente, sfruttando i corsi gratuiti online o quelli offerti dalle ONG (Croce Rossa, VIS, CIPSI, etc). Io ne ho fatti diversi e continuo a farne.

interno di una scuola

Trovare il proprio percorso all’interno del settore

Altri due elementi chiave per lavorare in cooperazione secondo me sono la perseveranza e la scelta di un campo o ruolo specifico. Non bisogna abbattersi di fronte agli insuccessi, ma continuare a mandare applications e continuare a formarsi. Consapevoli che spesso i tempi per le selezioni sono lunghi e ti puoi ritrovare a dover fare colloqui mentre stai ancora terminando un lavoro.

Quando parlo di scelta, penso alla necessità di riflettere e capire tre cose. L’area geografica che ti interessa (il continente e se possibile il Paese), l’ambito generale (cioè cooperazione allo sviluppo o aiuto umanitario), e il ruolo. Il ruolo può essere più gestionale, ad esempio come project manager o amministratore, o più tecnico, come M&E, o specialistico di campo, come tecnico agropecuario, medico, etc.

Una volta capito quale ruolo vorremmo avere, è molto utile cercare vacancies corrispondenti per capire cosa chiedono. Questo ti aiuta a creare un percorso di studio ad hoc in base alle competenze richieste.

Quando si tratta di fare un colloquio di selezione, non dobbiamo preoccuparci di avere l’ansia, perché è normale. L’importante è imparare a gestirla. Se si tratta di prove di gruppo non fatevi intimidire da quello che raccontano gli altri. Dovete sentirvi bene con voi stessi e crederci tanto da mostrare sicurezza anche fuori.

L’obiettivo è cercare, al momento di parlare, di tirare fuori dalle tue esperienze, le cose che secondo te in quel momento l’organizzazione sta cercando. Tratta di identificare le tue qualità e preparati al colloquio. Rifletti ad esempio sulle tipiche domande: quali sono le tue tre principali qualità e i tuoi tre difetti? Perché dovrebbero scegliere proprio me? Cosa potrei apportare all’organizzazione?

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