Elia Cammarata storie dal campo

Elia: agronomo in cooperazione, dalle ONG al privato

Elia Cammarata, agronomo con tanta esperienza in Africa subsahariana, ci racconta il suo percorso tra le ONG e il settore privato e ci parla delle possibilità di collaborazione tra organizzazioni e imprese per lo sviluppo.

Gli inizi

Ho avuto il mio primo contatto con il mondo della cooperazione a 19 anni. Frequentavo l’istituto tecnico agrario e grazie ad una piccola borsa di studio sono stato per un mese e mezzo nella regione del Parà in Brasile. Ho partecipato ad un progetto di riqualificazione di una zona non utilizzata di pascolo con una scuola agraria locale.

In Brasile è comune utilizzare per un periodo limitato terre praticamente vergini e fertili, per poi spostarsi in altre aree, praticando quello che possiamo definire “nomadismo agricolo”. La scuola agraria dove sono stato ospite voleva diffondere maggiori conoscenze sui concetti di fertilità rinnovata o rinnovabile del terreno affinché non si abbandonino le terre dopo averle sfruttate eccessivamente e rese infertili, perché questo ha degli effetti negativi sull’ambiente a lungo termine.

La seconda esperienza è stata in Ciad. L’ICEI aveva chiesto all’università il contatto di un giovane agronomo e l’ONG mi ha proposto un progetto nel Paese.

raccolto

L’esperienza dell’orto sociale in Italia

A quell’epoca ero laureato in triennale e avevo già un po’ di esperienza, dato che in famiglia abbiamo un’azienda agricola. Inoltre avevo già partecipato in prima linea a progetti sociali in Italia legati all’agricoltura.

Nel 2010 infatti ho fondato a Brescia un’associazione Acchiappasogni, che a partire da un orto sociale era diventato un movimento che organizzava festival, sagre, ecc. Acchiappasogni è stata anche premiata col premio della Fondazione Barilla per la categoria social agriculture. Sono orgoglioso di dire che con l’associazione abbiamo lanciato l’idea dell’orto sociale in Italia, che all’epoca non esisteva ed invece adesso è piuttosto popolare. Venivano persone da diverse parti d’Italia a lavorare nell’orto per settimane, e venivano da tanti ambiti differenti, non solo quello prettamente agricolo.

Ciad, Sudafrica, Filippine e Mozambico

In Ciad sono stato agronomo junior per il secondo anno di un progetto di emergenza, finanziato dall’Unione Europea. È stato molto bello e molto impegnativo, perché si trattava di una realtà molto “forte” dove le problematiche legate alla sicurezza alimentare e alla gestione dell’acqua sono veramente questione di vita o di morte.

Tornato in Italia, ho deciso di iscrivermi alla magistrale di Plant Protection and Production a Milano e ho ottenuto una borsa di studio. Ho approfittato delle tante opportunità offerte dal corso di laurea: ho frequentato una summer school in Cina, ho fatto una pratica di un mese nelle Filippine in itticoltura, e sono stato sei mesi in Sudafrica per scrivere la tesi sul miglioramento genetico di varietà spontanee di mais.

Lo studio relativo alla mia tesi ha ricevuto molto interesse. È nata una collaborazione tra le università di Johannesburg e Milano con un progetto di ricerca finanziato, che mi ha permesso di ritornare un anno dopo per continuare a lavorare su una caratterizzazione di germoplasma di mais locale.

In seguito sono stato in Mozambico con CELIM, come consulente per vari progetti di itticoltura. Con il Mozambico è stato amore a prima vista, soprattutto perché amo il mare e la vita acquatica e il Paese ha coste e spiagge stupende. Forse anche per questo, in Mozambico sono rimasto diverso tempo con diverse funzioni.

Prima, agronomo di progetto per un’altra ONG. Si trattava di un progetto di post emergenza per siccità affidato dall’AICS ad un consorzio di organizzazioni ed io ero responsabile di tutta la parte agricola. Il Mozambico ha vissuto dal 2015 diversi anni di siccità e poi un’ondata di cicloni, ed è una delle zone del pianeta più colpite dai cambiamenti climatici. 

Poi, sono stato country manager per l’ASeS, che è l’ONG della Confederazione Italiana Agricoltori e che secondo me ha potenzialità enormi perché è direttamente collegata con tutto il mondo degli agricoltori italiani e col loro bagaglio di professionalità.

foto di gruppo nel campo

Il passaggio al settore privato

Quando ero country manager ho lanciato anche nuovi progetti in partnership con altre organizzazioni. Mi è capitato di lavorare con una ONG statunitense: la iDE o International Development Enterprises.

Mi ha colpito molto il modello di questa organizzazione, completamente diverso dalle piccole e medie ONG italiane. Si tratta di una grossa organizzazione che coinvolge moltissime aziende, grazie a questo ha un funding robusto e risulta molto efficace. Ho notato una forma di lavorare diversa, con un orientamento deciso alla “proattività allo sviluppo”, che la allontana decisamente dall’assistenzialismo. 

Uno stile improntato all’efficienza e alla cura dei dettagli delle relazioni e delle attività dei beneficiari di progetto, con un focus sulla qualità invece che sulla quantità dei partecipanti. Ad esempio la iDE in Mozambico investe su realtà locali con prestiti a tasso zero, per farne diffusori delle conoscenze acquisite, andando molto al di là dell’organizzazione di training per un certo numero di beneficiari.

Ad un certo punto in Mozambico ho avuto dei problemi con il rinnovo del visto e sono dovuto rientrare in Italia. In quel momento sentivo un po’ di stanchezza per certi aspetti del lavoro da cooperante. Mi sembrava di intravedere il rischio di perdere gli ideali che portano nella cooperazione, dentro una routine focalizzata su indicatori da inserire in un’abbondante reportistica. Avevo 27 anni e dopo queste esperienze con ONG in Africa avevo voglia di qualcosa di nuovo, di provare a cambiare ambito.

All’Expo della cooperazione internazionale del 2019 ho conosciuto l’azienda per la quale lavoro oggi ed è iniziato il mio percorso nell’ambito del privato. Già la sua presenza in un ambito del genere fa capire l’interesse per il settore e l’esperienza con enti che si occupano di sviluppo.

Imprese e cooperazione

Oggi lavoro con Irritec,  un’azienda nata in Italia e presente attualmente in circa 140 Paesi, che è un riferimento per la microirrigazione nel mondo. Sono responsabile di progetti e vendite per l’Africa sud-orientale e promuovo molto il lavoro congiunto con ONG.

Spesso nel mondo della cooperazione c’è un pregiudizio radicato verso il privato, come se fosse un’entità malevola, automaticamente collegata a scandali e corruzione. Per questo spesso il mondo del no profit si pone una autolimitazione nel non voler avere a che fare col privato e con le imprese. Così si perdono opportunità di interscambi di competenze e di professionalità e di progetti condivisi profit-no profit.

Nel contesto italiano siamo ancora indietro, ma a livello internazionale si registra una maggior apertura. Spesso anche i donors internazionali vedono di buon occhio partnerships degli enti della cooperazione con il settore privato.

Sarebbe bello e utile per gli enti della cooperazione non solo chiedere preventivi e fare acquisti presso aziende per i macchinari e gli impianti agricoli, ma lavorare con i professionisti delle aziende su delle proposte tecniche per progetti, fino a creare delle vere e proprie alleanze. Anche perché se non c’è un coinvolgimento nella scrittura di progetto, ma l’interazione avviene direttamente al momento dell’implementazione, ci si ritrova inevitabilmente disallineati tra staff di progetto e tecnici.

impianto di irrigazione

Elementi chiave per partnership tra ONG e imprese

Ovviamente bisogna trovare le aziende giuste, che permettano di superare la tipica mancanza di fiducia delle ONG per i privati, e che non siano scoraggiate dalle tempistiche e dalle peculiari modalità di azione degli enti della cooperazione.

Secondo me, c’è oggi una certa disponibilità da parte del settore privato a collaborare. La difficoltà è che spesso ONG e imprese si vedono come due mondi paralleli, ognuno con il suo lavoro, che possono incontrarsi occasionalmente, ma si lasciano alla svelta per ritornare ognuno alle proprie modalità.

Ovviamente non tutte le imprese sono uguali e non tutte le ONG sono uguali. Alcune programmano più di altre e hanno una loro linea d’azione definita a lungo termine. Secondo me sono proprio queste le più affini a collaborare con imprese. 

Una pianificazione pluriennale, che vada al di là di singoli progetti è fondamentale quando si lavora a tematiche ampie e complesse, come ad esempio la gestione dell’acqua e l’irrigazione. Confrontarsi nelle fasi iniziali di programmazione e scrittura progetti con aziende specializzate del settore aiuterebbe molto tante organizzazioni .

La mia azienda ad esempio si offre di aiutare le ONG nella fase di design e progettazione di progetti in ambito agricolo e che prevedano in particolare un’irrigazione sostenibile. Per me l’utilizzo di professionalità specifiche è un fattore chiave per il successo di progetti di sviluppo in ambito agricolo, dato che l’agronomia è un settore molto vasto e nessun agronomo può conoscere tutte le aree di applicazione allo stesso modo.

foto di gruppo nel campo

Intercambialità tra settori

L’intercambiabilità della professionalità tra un settore e l’altro non è affatto scontata, perché nei due ambiti c’è proprio un’impostazione diversa del lavoro.

In cooperazione c’è un’attenzione ai dettagli rispetto alla rendicontazione e alla reportistica, alla forma corretta di esprimere il risultato per il donor. Questo livello di dettaglio può essere utile anche in un contesto aziendale, ma spesso ruba tempo all’operatività. Un’impresa poi dev’essere per sua natura più dinamica e veloce rispetto a una ONG e puntare ad avere riscontri in un lasso di tempo molto più breve.

Ci sono comunque grandi opportunità, perché esistono aree potenziali di contaminazione. Se hai la giusta attitudine puoi portare l’esperienza accumulata con ONG e diventare una risorsa importante in un ambito profit.

Forse è più facile paradossalmente passare dal mondo privato ad un ente della cooperazione che viceversa. Ad esempio le agenzie delle Nazioni Unite di solito valutano con interesse profili che hanno esperienza di lavoro in ambito profit.

Sicuramente profit e no profit sono due ambiti che lavorando di più insieme potrebbero arricchirsi reciprocamente e costruire dei modelli di sviluppo sempre più efficaci.

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