Nicolò Tria, economista ambientale e dello sviluppo, ci racconta del suo percorso professionale che mostra com’è possibile coniugare ricerca, sostenibilità ambientale e cooperazione internazionale.
L’arrivo all’ISPRA
Dopo la triennale in scienze politiche a Milano, con un curriculum incentrato sulle discipline economiche, ho studiato economia dell’ambiente e dello sviluppo a Roma. Il mondo della cooperazione allo sviluppo mi incuriosiva sin dagli anni dell’università: lo ritenevo un ambito dove usare le mie competenze tecniche per un’utilità sociale (e ambientale).
Un mio docente, che insegnava economia dello sviluppo umano e partecipava a progetti in contesti rurali dell’Africa subsahariana, in particolare in Burkina Faso, ha acceso in me l’interesse per questa disciplina, facendomi capire come coniugare ricerca e azione.
Quello che mi appassiona del mio attuale lavoro è interpretare le dinamiche che nascono all’interno della cooperazione allo sviluppo, in campo ambientale. Per farlo, mi occupo soprattutto dei due momenti più data intensive del ciclo di progetto: il Monitoraggio e la Valutazione.
Oggi sono assegnista di ricerca all’ISPRA l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. La ricerca è incentrata sullo sviluppo di metodologie statistiche per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di cooperazione ambientale e per la neutralità climatica nei paesi del Sud Globale, finanziati dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Si tratta di progetti incentrati su temi come: accesso all’energia e povertà energetica, ma anche lotta al cambiamento climatico, riduzione delle emissioni clima-alteranti, accesso all’acqua, agricoltura sostenibile, ecc.
Prima dell’ISPRA avevo lavorato al Ministero dell’Ambiente, ma non mi occupavo di cooperazione in senso stretto, facevo l’economista ambientale. Ho lavorato ad esempio al Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli, curando il capitolo Energia, e al Rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia.
Monitoraggio e valutazione di progetti Nord-Sud
In genere i funzionari del ministero lavorano con le controparti-Paese, che spesso sono il ministero dell’Ambiente o il ministero dell’Energia locali, i quali a loro volta hanno una rete locale che include ad esempio università e ONG.
Io per lavoro costruisco delle metodologie che permettono agli operatori del ministero, in contatto diretto con i Paesi partner, di seguire efficacemente i progetti. Per quanto riguarda il monitoraggio si tratta di creare degli indicatori per permettere un’analisi dell’andamento dei progetti da un punto di vista statisticamente robusto.
Nel caso di questi progetti del ministero ogni indicatore deve non solo essere affidabile, ma da un lato essere ritagliato sulla realtà specifica del progetto, e dall’altro avere un certo livello di generalizzazione per poter essere riutilizzato anche in altri progetti.
Per ognuno degli aspetti da monitorare si definiscono alcuni parametri, e con la metodologia che ho sviluppato attraverso questi parametri ogni progetto ottiene un punteggio. Questo punteggio permette di capire non solo come sta andando il singolo progetto, se e quanto sta raggiungendo i suoi obiettivi, ma anche di fare un ranking dei progetti.
Per quanto riguarda la valutazione dei progetti, si guarda a tanti aspetti, a partire dalle dimensioni di valutazione del DAC il Development Assistance Committee dell’OCSE, che sono la Rilevanza, la Coerenza, l’Efficacia e l’Efficienza, l’Impatto e la Sostenibilità.
Ho sviluppato un questionario di un centinaio di domande in totale, che il funzionario addetto alla valutazione deve compilare. A partire dalle risposte al questionario, standardizzate su una scala di Likert ogni progetto ottiene un punteggio o indice sintetico, un rating espresso in percentuale. Questa operazione permette di ordinare i progetti in base al loro tasso di successo.
Questo lavoro fa per me perché mi piace sviluppare metodologie e fare analisi dati e mi ha permesso di entrare a contatto con tante realtà progettuali nei paesi in via di sviluppo, anche se mi manca un po’ l’esperienza sul campo, e toccare con mano ciò che viene realizzato, parlare con le comunità locali.
Stare sul campo e confrontarsi con chi è coinvolto nel progetto ti aiuta a capire meglio le dinamiche. Ad esempio un’esperienza di lavoro precedente in Irlanda lavorando con i piccoli agricoltori, soprattutto allevatori, mi ha permesso di capire meglio il loro punto di vista di fronte alle questioni relative alle politiche agricole e ai suoi effetti sui produttori.
Ho vissuto in Irlanda tra il 2019 e il 2021, lavorando nella contea di Leitrim per l’organizzazione Good Energies Alliance Ireland nel contesto dell’iniziativa CROGA o Climate-Resilient Opportunities for Generations Ahead.
CROGA è un’iniziativa, che ho contribuito a ideare, per lo sviluppo locale di una zona rurale appartenente a un’area periferica dell’Europa, sfruttando le opportunità offerte dalla territorializzazione della lotta al cambiamento climatico, attraverso mitigazione e adattamento. Creare opportunità di sviluppo locale sostenibile contribuisce ad invertire la tendenza allo svuotamento e quindi alla morte delle periferie rurali.
Il primo passo è stato la creazione di un inventario delle emissioni dei settori economici della contea e poi ad un coinvolgimento di agricoltori e autorità locali per diminuire le emissioni
Un altro modo di fare ricerca con occasionali missioni all’estero è attraverso consulenze su tematiche ambientali e in generale su temi legati alla sostenibilità. Ad esempio, da settembre 2023 collaboro con la Technical Cooperation Facility della Delegazione dell’Unione Europea in Messico: il progetto prevede anche missioni di studio a Città del Messico.
Ho lavorato con il governo del Messico e la delegazione europea. Scopo del progetto è la realizzazione di uno studio tecnico comparativo tra la tassonomia europea degli investimenti sostenibili e la nascente tassonomia messicana.
Consigli
Ai giovani consiglio di fare tutte le esperienze che possono, senza mai sminuirsi – quindi avendo consapevolezza del proprio valore per tenere lontani gli sfruttatori – ma nemmeno fare “gli schizzinosi”: il lavoro deve essere sempre giustamente pagato, altrimenti si fa beneficenza. Tutte queste esperienze vengono poi capitalizzate e valorizzate.
Al momento di cercare un lavoro nel settore della cooperazione secondo me è fondamentale poter dimostrare di avere già una sorta di portfolio, una serie di esperienze che dimostrino l’interesse e l’aver investito tempo e passione nell’area professionale per la quale ci si sente portati. Quindi prima di poter vantare un curriculum professionale, bisogna dedicare tempo a corsi, volontariato, progetti anche personali o con colleghi di lavoro e/o di accademia, e fare networking.
Soprattutto il volontariato, nella forma ad esempio di workcamps realizzati in paesi del Sud Globale, offrono l’opportunità di misurarsi in prima linea con i contesti della cooperazione allo sviluppo: consiglio a chiunque voglia fare il cooperante di iniziare da qui.