zeroCO2 contrasta la crisi climatica e supporta le comunità rurali attraverso la riforestazione dei terreni degradati, con l’aiuto di aziende e privati cittadini. Il fondatore Andrea Pesce ci racconta la storia di questa società benefit green nata da un’amicizia in Guatemala.
Com’è nata l’idea di zeroCO2?
zeroCO2 è nata dal mio incontro con Virgilio Galicia, un professore e pedagogista ambientale guatemalteco, che ho conosciuto nel 2018, quando vivevo in Guatemala. Lì mi occupavo di cooperazione e di innovazione scolastica con una ONG italiana.
Con Virgilio abbiamo avuto tanti momenti di condivisione: abbiamo scoperto che ci capivamo ed eravamo in sintonia molto più di quanto la diversità delle nostre culture potesse far immaginare. Lui è scuro di pelle, io sono europeo, io parlo italiano, lui parla spagnolo, lui non era mai stato fuori dal Guatemala, io avevo viaggiato in tutta l’America Latina…
Nonostante queste differenze, condividevamo moltissimo delle nostre visioni rispetto a ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, a ciò che dovrebbe succedere e a ciò che non dovrebbe succedere nel pianeta e nelle comunità dove viveva Virgilio.
Da lì nasce prima Comparte ONLUS, una non profit italiana che si occupa di progetti educativi a livello universitario centrati sulla salvaguardia ambientale, con università guatemalteche e di altre parti del mondo. La natura stessa di no profit però ci presenta dei limiti e allora decidiamo di fare un passo in avanti, cambiare e creare zeroCO2.
Cosa fa zeroCO2?
zeroCO2 è una società benefit, che è una normale società a responsabilità limitata, con la peculiarità di avere degli obiettivi comunitari, nel nostro caso degli obiettivi ambientali di sviluppo sostenibile. zeroCO2 supporta le comunità contadine delle aree rurali del Guatemala, attraverso la salvaguardia ambientale e con la riforestazione.
Facciamo crescere gli alberi nel nostro vivaio in Guatemala, dove abbiamo un team locale, coordinato proprio da Virgilio Galicia. Abbiamo creato nel tempo un network di comunità contadine con terre utilizzate e diamo loro gli alberi affinché possano piantarli e gestirli. Alle comunità appartengono gli alberi e i relativi benefici: frutta, legno, rigenerazione del terreno, ecc.
Il nostro scopo è sociale-ambientale. Sociale perché supportiamo le comunità attraverso progetti che sostengono la loro economia, la loro alimentazione e la loro educazione perché le formiamo su agricoltura organica e gestione sostenibile della terra, e perché includiamo nel progetto vari stakeholders del territorio, dalle università ai ministeri, alle associazioni che si occupano di salvaguardia della terra. Ambientale perché sviluppiamo progetti di riforestazione complessi, con sistemi agronomici complessi.
Siamo nati alla fine del 2019 e da allora abbiamo piantato oltre 1.200.000 alberi, supportando centinaia di comunità contadine e migliaia di famiglie. Non siamo più solo in Guatemala, siamo anche nella foresta amazzonica peruviana, nella Patagonia Argentina ed in Tanzania.
Per me i nostri principali punti di forza, che ci distinguono rispetto a molti agenti della cooperazione internazionale, sono due:
- Facciamo davvero un’approfondita analisi di contesto, da mettere al centro dello sviluppo di ogni singolo progetto.
- Chi “riceve” i frutti del progetto è seduto al tavolo dove si prendono le decisioni progettuali strategiche. I nostri progetti non sono sviluppati da ragazzi o ragazze bianche in Italia per il Guatemala, ma sono creati in Guatemala e in Italia.
Che tipo di lavoro fate in Italia?
Quello che facciamo in Italia è semplice: raccogliamo i fondi per finanziare i progetti, attraverso il marketing, la comunicazione, i documentari, i servizi offerti alle aziende, ecc.
Abbiamo lavorato ad oggi con più di 400 aziende in Italia, ma anche a livello europeo. Tendenzialmente sono le aziende che ci contattano. Noi dal canto nostro escludiamo a prescindere solo tre settori: pesticidi agrochimici, armi e gioco d’azzardo. Per tutte le altre aziende normalmente facciamo una consultazione interna con tutti i dipendenti per decidere se lavorare o meno con un’impresa.
Con le aziende zeroCO2 porta avanti diverse attività per contrastare la crisi climatica. Si parte dalla sensibilizzazione nei punti vendita e/o sui canali social, fino ad arrivare a calcolare l’impatto ambientale del prodotto. Nei progetti più completi con le aziende si implementa un percorso completo con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e climatico, per poi assorbire le emissioni residue piantando alberi.
In Italia poi lavoriamo con 40 cooperative agricole e sociali che si concentrano sull’inserimento lavorativo di persone con passati complicati, migranti, ex tossico-dipendenti, ecc. Attraverso gli alberi si crea un processo virtuoso: l’inserimento lavorativo da un lato, il sostegno alla conoscenza e alla pratica dell’agricoltura sostenibile nel nostro Paese dall’altro.
Cosa significa che la crisi climatica inasprisce le disuguaglianze?
La crisi climatica non è generata dagli alberi che tagliamo o dallo smog che emettono le nostre macchine o il riscaldamento. Tutto questo contribuisce, ma alla base della crisi c’è il sistema capitalistico neoliberale che prevede la prevaricazione di un mondo su un altro, estraendo tutto quello che serve da una parte di mondo, per elaborarla, trasformarla e utilizzarla dove c’è il capitale.
Uno dei limiti di questo sistema sono le disuguaglianze, perché si fonda sul benessere di pochi, a fronte di un’indecente povertà di altri. C’è un nesso indissolubile tra crisi climatica e disuguaglianze. Ora si parla più di crisi climatica che di cambiamento climatico perché questo termine comunica il senso di urgenza e sottolinea che la situazione richiede delle soluzioni urgenti.
In Guatemala arrivano piogge torrenziali all’improvviso e poi per mesi spariscono, anche in momenti dell’anno dove è normale che ci siano le piogge. Di conseguenza intere comunità perdono il raccolto, dopo mesi di lavoro. Chi era povero ora è più povero: se prima molti contadini avevano cibo e prodotti da vendere al mercato, con i raccolti distrutti non hanno più nulla da mangiare.
Consigli per chi sta muovendo i primi passi nel mondo della cooperazione?
Quello che secondo me mi ha permesso di entrare nel mondo della cooperazione è l’aver viaggiato e aver scoperto culture diverse.
Penso che la principale qualità di un cooperante sia il sapersi adattare in qualsiasi contesto. Un cooperante deve essere allenato alla scomodità, al sentirsi scomodo. Gli aspetti positivi di vivere in un altro Paese siamo tutti capaci di gestirli, ma quelli negativi no.
La nostra responsabile operation per esempio a marzo è in Guatemala, ad aprile va in Tanzania, a maggio in Colombia e a giugno in Argentina, e fa il giro di tutto il mondo e come lei, il suo team. Lei ha una capacità fuori dal comune di adattarsi al contesto, di trovare nella scomodità comunque il suo “angolo di comodità”. Quindi consiglio di viaggiare, e cercare la scomodità. I soldi per viaggiare si trovano.
La nostra generazione è troppo abituata alla comodità, ad avere tutto quanto fatto, tutto quanto pronto, tutto quanto chiaro, tutto quanto già delineato. Invece un cooperante deve essere in grado di mettere in discussione tutte le proprie visioni.
Poi per chi si avvicina al mondo della cooperazione è molto importante fare un passo indietro e cercare di guardare la big picture, perché da italiani, bianchi, tendenzialmente con un profilo culturale-accademico elevato, benestanti, rispetto a moltissimi contesti, avremo sempre dei pregiudizi.
Quindi bisogna mettere in gioco tutte le proprie idee e convinzioni e ricordarsi che non dobbiamo criticare, ma supportare persone di culture diverse.
Un altro tema sono le competenze: non ci si può improvvisare in cooperazione. Se non hai mai zappato la terra, non potrai andare a gestire un vivaio in Guatemala, ma devi coinvolgere l’ingegnere forestale del posto che ha studiato il mestiere e conosce il contesto.
Quindi: viaggiare, cercare la scomodità, combattere i pregiudizi inconsci che ci portiamo dietro e coltivare le competenze necessarie per le aree in cui vogliamo intervenire.